Nonostante sia un indicatore prezioso per valutare le performance di un sito web, la frequenza di rimbalzo continua per molti ad essere avvolta da un alone di mistero. Nota anche come bounce rate, la frequenza di rimbalzo è infatti una delle metriche più complesse e fraintese di Google Analytics pur rimanendo tra le più utili ad offrire un quadro efficace per valutare la qualità del traffico e delle pagine di atterraggio di un sito.
Misurare la percentuale di visitatori e sessioni che si fermano su una singola pagina può rivelarsi infatti prezioso nel determinare il successo di una pagina nel raggiungere i suoi obiettivi. Eppure, è importante chiarire sin da subito che non esiste una frequenza di rimbalzo ideale, poiché questa metrica varia notevolmente in base al tipo di sito in questione.
Se è vero che un elevato bounce rate indica solitamente problemi come tempi di caricamento eccessivi, una scarsa SEO on-Page, contenuti di bassa qualità e core web vitals allarmanti, è altrettanto vero che un’alta frequenza di rimbalzo può in alcuni casi essere non solo normale, ma ottimale.
In questo articolo esploreremo cosa misura e cosa significa frequenza di rimbalzo, e, soprattutto, come raggiungere la frequenza di rimbalzo ideale.
La frequenza di rimbalzo, o bounce rate in inglese, costituisce un indicatore chiave del comportamento degli utenti su un sito web. Ma che cosa significa esattamente?
Si tratta della percentuale di visitatori che, dopo aver visualizzato una singola pagina, escono dal sito senza interagire ulteriormente, facendo così ritorno alla pagina dei risultati di ricerca o al sito web di provenienza.
Per ottenere questa metrica, è sufficiente calcolare il rapporto tra il numero totale di sessioni di una sola pagina (gli utenti che hanno visualizzato una sola pagina) e il numero totale di sessioni (le entries sulle pagine del sito).
Le sessioni di una sola pagina, caratterizzate da una durata pari a 0 secondi, si verificano quando gli hit successivi al primo, che consentirebbero ad Analytics di calcolare la durata della sessione, non si verificano. Stando a quanto riportato dalla stessa Guida di Analytics, “un rimbalzo è calcolato in modo specifico come una sessione che attiva una sola richiesta al server Analytics, ad esempio quando un utente apre una singola pagina sul tuo sito ed esce senza attivare altre richieste al server Analytics durante la sessione”.
NB. Attenzione a non confondere la frequenza di rimbalzo con la percentuale di uscita. Se la prima si riferisce al numero di visitatori che hanno visualizzato una sola pagina del sito, la seconda indica invece il numero di volte in cui una specifica pagina è stata l’ultima in una sessione di navigazione.
La frequenza di rimbalzo contribuisce all’analisi del comportamento degli utenti su tutte le pagine del sito web, in quanto permette di indagare l’efficacia delle interazioni tra gli utenti e il sito stesso. Proprio per questo, un basso bounce rate viene generalmente considerato positivamente e come un chiaro segnale dell’interesse dei visitatori rispetto ai contenuti del sito web, che vengono perciò esplorati a fondo nel corso della navigazione interna. D’altronde, se gli utenti trascorrono più tempo sul sito web e visitano un maggior numero di pagine, aumenta per natura anche la probabilità che questi interagiscano con le CTA e portino a termine eventi come la compilazione di un modulo o l’acquisto di un prodotto.
A contribuire a questo risultato possono concorrere diversi elementi: dal design accattivamene alla navigazione fluida fino alla rilevanza dei contenuti e alla buona velocità di caricamento della pagina.
Al contrario, una frequenza di rimbalzo elevata può mettere in evidenza tutta una serie di problemi come la cattiva usabilità, la presenza di contenuti poco rilevanti o non correttamente allineati a quanto anticipato in SERP o persino la presenza eccessiva di pop-up o elementi che disturbano l’esperienza di navigazione o CTA poco accattivanti. Naturalmente, quando il bounce rate raggiunge soglie alte è importante analizzare i dati e identificare le aree di miglioramento.
Come vedremo tra poco, però, le cose non sono sempre così semplici. Che dire, ad esempio, di un blog di cucina? Naturalmente, in questo caso è piuttosto normale che i visitatori consultino una sola pagina relativa alla ricetta di loro interesse e escano dal sito senza interagire ulteriormente, ma questo non significa affatto che il contenuto non sia piaciuto o ci siano problemi da risolvere in termini di prestazioni del sito web.
Per calcolare la frequenza di rimbalzo è sufficiente dividere il numero di visitatori che hanno visualizzato una sola pagina per il numero totale di visite al sito e moltiplicare il risultato per 100, così da ottenere una percentuale. Ad esempio, se su 1000 visite il sito registra 460 sessioni in cui viene visualizzata una sola pagina, il bounce rate sarà (460/1000) x 100 = 46%.
In questo caso specifico, quindi, grazie al tasso rimbalzo siamo in grado di sapere che il 46% dei visitatori che hanno abbandonato il sito l’hanno fatto dopo aver visualizzato una sola pagina.
Naturalmente, non è necessario calcolare di volta in volta la frequenza di rimbalzo: Google Analytics rende possibile indagare il bounce rate da diverse prospettive e con pochi click, ad esempio:
Per accedere alla frequenza di rimbalzo è necessario aver installato correttamente il codice di monitoraggio di Google Analytics sulle pagine del sito web.
La determinazione di una frequenza di rimbalzo ideale è un compito complesso e dipende fortemente dalla natura del sito, dal settore di appartenenza, dal tipo di contenuti offerti e dagli obiettivi specifici di ogni pagina. Ad esempio, possiamo dire che un bounce rate elevato è un segnale negativo? Certo che no o, meglio, dipende.
In linea generale, se il successo del sito web dipende dal fatto che gli utenti visitino più di una pagina, una frequenza di rimbalzo elevata potrebbe essere considerata negativa, soprattutto se per spingere l’utente a compiere una specifica azione c’è bisogno di guidarlo tra sezioni e pagine diverse.
Al contrario, se il sito è di una sola pagina, come un blog, o se i contenuti forniti rendono naturale una sessione di una sola pagina (si pensi alle pagine di un’enciclopedia online), allora una frequenza di rimbalzo più elevata può essere del tutto normale.
Uno studio condotto da EduBirdie ha suggerito una classificazione approssimativa della frequenza di rimbalzo:
Tuttavia, è importante osservare che questi valori non sono universali, ma vanno piuttosto interpretati in relazione alla natura del sito e agli obiettivi delle pagine.
Per migliorare la frequenza di rimbalzo, è necessario fare in modo che gli utenti visitino più pagine all’interno del sito. Naturalmente, ciò è più facile a dirsi che a farsi.
La verità è che si tratta di adottare un nuovo approccio, ovvero indagare quelli che sono i potenziali problemi di fondo che il bounce rate, in quanto fredda metrica, mette in luce.
Insomma, perché la frequenza di rimbalzo non è ideale?
Una delle prime cose da fare per rispondere a questa domanda è delimitare l’area di intervento utilizzando i diversi report di Analytics. Ad esempio, se il problema si riscontra in poche pagine, potrebbe essere necessario rivedere i contenuti e assicurarsi che rispondano agli interessi degli utenti e siano allineati con le iniziative di marketing, se invece il problema è più diffuso e interessa l’intero sito, allora si tratta di indagare con attenzione la lingua, la grafica, i colori dei pulsanti, le CTA e i core web vitals.
In linea generale, se la frequenza di rimbalzo del sito non soddisfa le tue aspettative, assicurati di prestare attenzione a:
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