11/4/2025

SEO e AI: come farsi trovare da ChatGPT — guida per aziende nell’era dell’intelligenza artificiale

SEO e AI: come farsi trovare da ChatGPT — guida per aziende nell’era dell’intelligenza artificiale

La relazione tra SEO e AI è oggi al centro di molte speculazioni. D’altronde, fino a poco tempo fa cercare informazioni online significava aprire Google, digitare una parola chiave, e cliccare su uno dei primi link. Oggi, per milioni di persone, quel gesto è stato sostituito da una domanda fatta a ChatGPT, a Copilot, a Gemini, o uno dei tanti assistenti AI che stanno entrando (silenziosamente ma in modo sempre più pervasivo) nelle nostre abitudini digitali. E se anche Google sta seguendo questa direzione, con la sua Search Generative Experience (SGE) che risponde alle query degli utenti con sintesi generate direttamente dall’intelligenza artificiale, è evidente che le regole tradizionali della SEO debbano essere messe in discussione.
Perché le ricerche si sono spostate su strumenti come ChatGPT? Forse perché è più comodo, forse perché più immediato. Sicuramente perché per ognuno di noi ricevere una risposta diretta ed esaustiva regala un’esperienza più naturale che studiare una lista di link.

Comunque stiano le cose, sempre più utenti si stanno abituando a questo nuovo tipo di interazione. E quando le domande non passano più da una SERP classica… che fine fa la SEO?
Se le persone non cercano più come prima, ha ancora senso parlare di ottimizzazione per i motori di ricerca? E soprattutto: come si conquista oggi la visibilità online, se a restituire le risposte non è più un algoritmo tradizionale ma un'intelligenza artificiale?
Comparire in una risposta generata da ChatGPT, per alcuni brand, inizia a valere quanto essere in prima pagina su Google. Ed è qui che si pone la vera domanda: SEO e AI sono nemiche o alleate?

Ma quali sono i vantaggi di farsi trovare dall’AI?

Essere presenti tra le fonti utilizzate da strumenti come ChatGPT, Copilot o Google SGE è sempre più una questione di visibilità concreta, qui e ora. Quando un utente pone una domanda a un assistente basato su intelligenza artificiale, non sta cercando una lista di risultati da esplorare, ma sta cercando una risposta immediata. E se quella risposta contiene il nome o la menzione di un brand, è facile concludere che il brand ha ottenuto esattamente ciò che la SEO ha sempre promesso: attenzione qualificata e massima visibilità. In breve? Ciò che fino a ieri era solo la posizione zero su Google a garantire.

Farsi trovare dagli utenti tramite ChatGPT a altri strumenti AI contribuisce poi a rafforzare la percezione di autorevolezza del brand. Le informazioni offerte da un’assistente AI sono spesso accolte con un alto grado di fiducia, proprio perché vengono percepite come già filtrate, selezionate, validate. Di conseguenza, apparire in una risposta significa anche essere implicitamente riconosciuti come fonte credibile.

A tutto questo si aggiunge un aspetto competitivo: l’attenzione che si sposta verso l’intelligenza artificiale è attenzione che potrebbe non tornare più sui canali tradizionali. Ecco perché farsi trovare in queste risposte significa occupare uno spazio nuovo, ancora poco presidiato, che sta rapidamente diventando un punto di riferimento nella ricerca quotidiana.

Come l’AI sceglie cosa mostrare nelle proprie risposte

A questo punto, la domanda è inevitabile: se farsi trovare dalle AI è così importante, come funziona il meccanismo che decide chi viene mostrato nelle risposte?
Partiamo dalle basi: non basta essere online per finire dentro una risposta generata da ChatGPT o Google SGE. Anzi, la maggior parte dei contenuti non viene nemmeno considerata.

I modelli generativi selezionano le informazioni da fonti che ritengono attendibili, facilmente interpretabili e rilevanti. Nel caso di ChatGPT, le risposte si basano su una combinazione tra dati pre-addestrati e contenuti aggiornati tramite browsing (quando attivo). Google SGE, invece, attinge ai contenuti già indicizzati nel motore di ricerca, ma li rielabora per costruire sintesi informative rapide e dirette.

In entrambi i casi, i contenuti che hanno più probabilità di essere utilizzati sono quelli che rispettano determinati criteri: chiarezza, affidabilità, struttura solida. E se queste caratteristiche suonano familiari, c’è poco da sorprendersi. Si tratta proprio degli stessi elementi su cui si fondano le strategie di ottimizzazione che la SEO coltiva da tempo.
Organizzare i contenuti in modo efficace con gli headings più appropriati, individuare le query e l’intento di ricerca degli utenti, rispondere con cura alle domande del pubblico sono tutte attività che chi si occupa di SEO e SEO copywriting conosce perfettamente.  

La verità, quindi, è che l’AI non ha affatto portato alla fine della SEO, anzi. Se un tempo l’ottimizzazione per i motori di ricerca serviva a conquistare le prime posizioni in SERP rispondendo alle esigenze del pubblico e alle logiche dell’algoritmo di Google, oggi aiuta anche l’AI a “capire” il significato di ciò che si scrive. Insomma, la SEO si rivela la porta d’accesso per la visibilità sull’AI.

Come fare SEO per l’intelligenza artificiale

Se il contenuto è la base di partenza per ottenere visibilità, il modo in cui viene costruito fa tutta la differenza.
Chi lavora in ambito SEO lo sa bene: titoli chiari, struttura coerente, uso intelligente delle intestazioni, risposte puntuali alle domande del pubblico. Nulla di nuovo, sulla carta. Ma quando entra in gioco l’intelligenza artificiale, tutto questo acquista un peso diverso.  

Modelli come ChatGPT o sistemi come Google SGE non si limitano a leggere un testo: devono capirlo, analizzarlo, scomporlo e sintetizzarlo. Ed è per questo che contenuti ben organizzati — per argomento, per intenti, per chiarezza — risultano più “digeribili” anche per l’AI.

Un testo ben strutturato facilita l’estrazione delle informazioni chiave, aumenta la probabilità che una risposta venga costruita proprio a partire da quel contenuto, e contribuisce a definire l’autorevolezza della fonte. In questo senso, la SEO estende il proprio raggio d’azione: rende il contenuto accessibile anche a chi “legge” come un modello linguistico.

Quindi, SEO e AI non sono strategie parallele, ma due livelli di una stessa ottimizzazione. Quella semantica, che lavora sul significato, sull’organizzazione, sull’intento. E che permette di comunicare tanto con le persone quanto con i modelli generativi.

grafica di persona che utilizza al tablet con sfondo a fumetto e razzo

Ottimizzare i contenuti per l’AI: entità, struttura e chiarezza

Le intelligenze artificiali generative non lavorano solo con le parole chiave, ma con le entità. Stiamo parlando di concetti ben definiti come nomi di persone, aziende, luoghi, prodotti.  

Ottimizzare un contenuto per l’AI significa quindi costruire un testo attorno a questi riferimenti chiari, evitando ambiguità e aiutando il modello a interpretare correttamente il contesto.

Ad esempio, un contenuto che parla di “Apple” sarà più facilmente interpretato come riferito al brand se compaiono anche termini come “iPhone” o “MacBook”. È un lavoro che la SEO fa da tempo, ma che oggi si rivela ancora più utile nel dialogo con l’AI.  

Quanto a struttura e chiarezza, valgono le buone pratiche SEO: titoli coerenti, testo ordinato, paragrafi tematici. Non solo per il lettore, ma anche per chi processa i contenuti in modo automatico.

SEO e segnali di autorevolezza per farsi notare dall’AI

Per apparire tra le fonti selezionate dall’AI, non basta che un contenuto sia corretto: deve anche trasmettere autorevolezza. Gli assistenti conversazionali tendono a privilegiare siti riconosciuti, referenziati e percepiti come affidabili, non solo dai motori di ricerca ma anche dagli altri utenti.

Backlink da siti di settore, menzioni in articoli giornalistici, recensioni positive e segnali sociali aiutano a costruire una reputazione digitale solida che può fare la differenza nella selezione delle fonti da parte dell’intelligenza artificiale. Anche gli aspetti tecnici contano: ad esempio, strutturare le informazioni in modo che siano facilmente leggibili e interpretabili dalle macchine può aiutare l’intelligenza artificiale a capire meglio il contenuto di una pagina. È il caso dei cosiddetti dati strutturati, cioè elementi invisibili all’utente ma fondamentali per chi, come un’AI, legge e interpreta i contenuti online.

Allo stesso modo, i segnali di affidabilità legati all’autore del contenuto, alla trasparenza del sito o alla presenza di fonti chiare sono sempre più rilevanti. È questo l’approccio sintetizzato nel principio EEAT – esperienza, competenza, autorevolezza, affidabilità – già adottato da Google, ma utile anche per guadagnarsi la fiducia dei modelli generativi.

In altre parole, l’affidabilità percepita del sito e del contenuto non è un dettaglio: è uno dei criteri centrali con cui l’AI decide chi merita di essere citato.

robot con icona di lampadina e grafici in crescita sullo sfondo

L’alleanza tra SEO e AI

Come abbiamo visto in questo articolo, l’intelligenza artificiale non ha portato alla fine della SEO, ne ha semplicemente rafforzato il senso rendendola ancora più necessaria.

Perché se è vero che l’AI ha rivoluzionato il modo in cui le persone cercano online, è altrettanto vero che ha riscritto le modalità con cui i contenuti vengono selezionati, valutati e proposti. Oggi non è più (solo) questione di ranking: è questione di farsi riconoscere come fonte attendibile da chi costruisce le risposte, non solo da chi le legge.

Insomma, le carte in tavola sono cambiate, ma le regole del gioco – chiarezza, autorevolezza, struttura e pertinenza – sono rimaste le stesse. Al massimo, sono diventate ancora più ferree.

Essere visibili oggi non significa solo farsi trovare su Google.
Significa esserci nel momento in cui una domanda viene posta, anche quando questo accade all’interno di un assistente AI, da ChatGPT a Google SGE. Significa diventare parte di un nuovo processo di scoperta delle informazioni, dove a contare non sono solo le parole chiave, ma la qualità del contenuto, la sua struttura, la sua affidabilità.

Per le aziende, questo vuol dire che è arrivato il momento di ripensare la visibilità come qualcosa che va oltre la ricerca tradizionale.
La domanda non è più “come salire di posizione su Google?”, ma “come essere presenti dove gli utenti cercano davvero oggi?”

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